sabato, dicembre 16, 2006

XII L' APPESO






LAPPESA


Alto, biondo, occhi chiari e pene pornografico, un uomo dalle caratteristiche fisiche eccellenti e desiderato dalla più parte delle donne conosciute nella vita…fragile, caduco e perdutamente innamorato di una donna come tante, una stronza qualunque dico io, un cervello mediocre ben protetto da un passato insolito, di quelli da farne materiale per letteratura.
La torturatrice abitava distante dalla città di residenza del giovane, ma il plagio operato era così forte da tenerlo attaccato alle speranze di una telefonata o al desiderio di un incontro per settimane intere, costringendolo ad un’abulia indotta, un’accidia storpia della sua stessa assenza di volontà. Spesso i suoi occhi apparivano così spenti da sbiadirlo tutto, da farlo improvvisamente passare inosservato al resto del mondo, come un individuo riconoscibile solo nella sagoma tanto che, gli amici che lo apprezzavano da anni non riuscivano a dare soluzione a tale tormento. Nei confronti di questi, provava spesso dei sensi di colpa poiché, ciclicamente, ognuno di loro dava ascolto a cronache di situazioni intollerabili per poi assistere sistematicamente alla rimpatriata del ragazzo presso l’aguzzina. Inutili i suggerimenti e gli affanni erano valsi a smuoverlo da quella situazione…certamente, gli piaceva.
A dire il vero, non poteva far a meno di fare l’amore con quella donna che, una volta soli, attuava il suo dominio, si avvicinava all’uomo inerte, ipnotizzato dal suo erotismo, con la certezza della vittoria, lo annusava con gli occhi, si premeva a lui con i seni e con l’inguine, accelerando e rallentando con la confidenza della sua supremazia, gli tirava fuori il pene e poi indugiava per il tempo necessario ad infiammargli la mente…il risultato ne sanciva sempre l’autorità.
Nel corso degli anni e delle attese, avevano anche provato a confezionarsi intorno un rapporto di coppia da convenzione, qualche cena al ristorante, spesa al supermercato, incontri con amici di lei, presentazione alle famiglie, regali alle ricorrenze, riflessioni sulla possibilità di un futuro insieme, occasionali tenerezze spesso legate a periodi dell’anno nei quali, si è imparato da piccoli, si è tutti più buoni…i frammenti di quiete erano bastanti al ragazzo e alla sua pienezza per cementare la loro unione, anche se più spesso soffriva di un difetto d’amore che lo sobillava fin quando non ricadeva nel suo desiderio. Ci si innamora spesso dei propri aguzzini e più questi perpetrano la loro crudeltà, più noi desideriamo stare con loro, ci sentiamo piccoli e dipendenti dalla loro volontà…poi, un giorno, come tirare l’acqua del cesso, improvvisamente tutto perde di significato.
Questo accadde…nel lungo tempo passato insieme, decisero un giorno, quasi di comune accordo, come una sorte alla quale non potevano più sottrarsi, di sposarsi. Lui me lo comunicò una sera, un po’ agitato e incredulo che lei fosse davvero disposta a diventare la sua sposa…poco dopo la notizia fu divulgata agli altri amici, ma nessuno ebbe il coraggio di commentare l’evento.
Fu stabilita le data per le nozze, sabato 14 settembre 2002, ore 16 presso la chiesa dell’Annunziata di Novara. Il pomeriggio del giorno precedente, lo sposo in preda all’agitazione che caratterizza queste occasioni, dopo lunghe ore di tormento, scelse l’autostrada per lenire la sua ansia d’amore. Verso le undici pomeridiane era sotto il portone di casa della futura sposa, pochi minuti dopo, di fronte a lei sulla porta d’ingresso. Quando lei lo vide, rimase un istante immobile a valutare l’eventualità di rispedirlo a casa sua, poi però, considerando il fatto che la loro relazione fu sempre caratterizzata dalla non convenzionalità, gli spalancò la porta e lo lasciò profanare il tempio sacro della notte prima delle nozze…lo fissò con la salda coscienza della sua forza, gli appoggiò la mano destra dietro sulla nuca e se lo portò contro il suo naso con violenza e desiderio…attese un attimo prima di mettergli la lingua nella bocca, ma quando lo fece a lui sembrò che lo volesse ingoiare tanto la sentì nelle sue carni. Come al solito, poi, fu lei a condurre il gioco sessuale, come più le andava quella sera…lo spogliò con calma, come se non esistesse tempo, e lo lasciò nudo nell’ingresso con la porta di casa ancora da richiudere e si allontanò verso la stanza da notte…l’uomo, stordito dall’estasi e soggiogato alla sua padrona, rimase immobile per troppo tempo in attesa del suo ritorno, rischiando anche di mostrare il suo sedere a qualche passante sul pianerottolo…ad un certo punto comprese che doveva muoversi e dopo aver chiuso la porta, si incamminò nella camera da letto dove la trovò arrendevole e languida sopra le lenzuola…le si avvicinò e le mise il pene davanti alla bocca, lei lo accolse nella sua cavità e se ne abbeverò come un’assetata quando lui eiaculò.
Si addormentarono dopo qualche tempo, una notte calma per lei, più tormentata per il ragazzo che ad un certo punto dovette anche andare in bagno a rinfrescarsi un po’…tornando dal cesso incrociò il vestito che lei avrebbe indossato poche ore dopo…lo guardò di sfuggita perché aveva in testa quella assurda diceria che porti sfortuna vedere l’abito prima delle nozze.
Al mattino la donna aprì gli occhi…si trovò sola, lui se n’era andato, chissà da quanto…non lo rivide più...inguainata nel suo abito, il giorno delle nozze, dentro una chiesa piena di invitati, attese per ore il suo arrivo dal portone…appesa un giorno com’era stato per anni lui per anni.




SENZA TITOLO


…mi ritrovo distesa in un letto, affatto incapace a compiere qualunque movimento…sento nel mio cervello un suono ripetuto, come di una sirena, che mi ipnotizza con l’angoscia della ripetitività, mi ritma una durata malvagia che forse per me non ha più significato…è tarantolato il battito del mio cuore, gli occhi sono aperti, non c’è calore nel mio corpo, né capacità di comando di muscoli e articolazioni…vorrei credere che il tempo tornerà ad avere una qualità nella la mia vita…
…qualcuno forse ha acceso uno stereo o piuttosto è la suggestione del mio cervello, sento una musica dai ritmi ossessivi, qualcosa di molto simile a quello che un tempo amavo ascoltare prima di farmi scopare dall’uomo di turno…i miei occhi si sono chiusi e riesaminano la sagoma precisa di un individuo che mi cattura la nuca con il suo palmo della mano, avvicina il suo viso al mio e lecca le mie labbra con la lingua umida di densa saliva, poi mi adagia su un pavimento…si slaccia la cintura, si cala giusto il necessario pantaloni e boxer, poi, affrettatamente, fa scoppiettare i bottoni a pressione dei miei jeans e li porta alla caviglie con iraconda impazienza…me lo mette dentro, è un pene grosso e ben eretto che all’inizio mi fa sobbalzare e poi pregustare un eccitazione che non dimenticherò…quei memorabili diciotto minuti di “affenstunde” di popol vuh mi crivellano insieme al demonio che mi sta sopra e che non smetterà fino a quando non riconoscerà dalla contrattura del mio volto e dai miei soffi che avrò raggiunto l’orgasmo…cerco di afferrare una qualche sporgenza di cui fa difetto un pavimento perchè le sue spinte finali sono potenti e sento un formicolio caldo salirmi dalla punta dei piedi alla testa e concludersi nell’orgasmo…
Apro gli occhi, c’è una controsoffittatura bianca modulare che minaccia la scena, spezzata soltanto da una feritoia di alluminio dalla quale passa la luce del neon, e guidando ai limiti estremi i globi oculari, sembra che in quella stanza non vi sia nulla che abbia catturato un colore…ai bordi della mia visuale ci sono i ciuffi dei miei capelli, intravedendoli li potrò sempre ricordare nel colore e nella piega se mai mi capiterà di non aver più presente di me certe cose esteriori…per quelle interiori credo invece mi sarà difficile dimenticare, adesso che un tempo indistinto mi vede appesa alla macchina che mi tiene in vita…


Racconto di Federica.